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Non l'eccellenza che credevo fosse
Mia madre, colpita da ictus a causa di una fibrillazione atriale, accede rapidamente (il 27 dicembre, dopo appena undici giorni dall’evento) all’Auxilium vitae di Volterra. Ne sono contento, vista la fama positiva di questa struttura. Mi avvertono però che potranno prendersi cura di mia madre soltanto per trenta giorni, al massimo (ma proprio massimo) quaranta. Va bene, capisco i tagli alla sanità, sarà fatto, mi dico, quello che potrà essere fatto nell’arco di un mese o poco più.
Vado a trovare mia madre due volte la settimana. Di settimana in settimana la trovo peggiorata, sempre più stanca, in regressione per quanto riguarda la capacità di muovere un poco la parte destra del corpo. Riesco a parlare soltanto una volta, telefonicamente, con un medico, che mi dà una valutazione di circostanza. Più disponibili le due fisioterapiste, che tendono a rassicurarmi sulle condizioni di mia madre.
In prossimità delle dimissioni l’Acot (l’Agenzia di continuità ospedale-territorio) di Pisa mi propone come unico percorso post Auxilium vitae una degenza di pochi giorni di “transito verso casa” presso il cosiddetto “ospedalino” di Navacchio. Conoscendo per diretta esperienza quanto sia meritata la fama negativa di questa struttura, rifiuto l’offerta, pronto ad accogliere a casa mia madre. Pochissimi giorni prima della data delle dimissioni ricevo la telefonata di una dottoressa che, con tono scocciato, mi dice che non è possibile prolungare la degenza di mia madre, che bisogna far posto a nuovi pazienti eccetera eccetera. Le rispondo che non ho mai preteso di prolungare la degenza di mia madre oltre il limite temporale che mi era stato indicato (e ancora mi chiedo quindi il perché di questa telefonata).
Le dimissioni sono previste per le 14 del 5 febbraio, ma già alle 13:20 trovo mia madre nell’atrio, abbandonata in carrozzina, con tutte le sue cose in un sacco perché, come mi viene detto candidamente, dovevano fare già posto a un nuovo ingresso (perché non anticipare allora l’orario delle dimissioni?). Resto 40 minuti, nell’atrio, accanto a mia madre, in attesa dell’ambulanza che la riporterà a casa.
Una volta a casa, scopro che mia madre ha ancora l'accesso venoso al braccio. Telefono all’Auxilium vitae e la persona che mi risponde si giustifica dicendo che mia madre è stata dimessa nell'orario di cambio turno (il che è falso, dato che, dovendo aspettare nell’atrio con mia madre a fianco, avevo potuto constatare che il cambio turno era alle 14, mentre mia madre era stata preparata per la dimissione sicuramente prima delle 13:20), chiede scusa (almeno quello) e dice che potrei pure toglierlo io (che non sono un infermiere). Devo così contattare il medico di base di mia madre per far venire il più rapidamente possibile del personale infermieristico a rimediare alla dimenticanza dell’Auxilium vitae.
Il peggio arriva però in seguito, quando mi rendo conto che le fisioterapiste di mia madre hanno scritto nella lettera di dimissione che ci sono stati dei miglioramenti che, di fatto, non ci sono stati (sarebbe stato più corretto parlare, piuttosto, di regressione). Molto più onesta, invece, è stata la logopedista nel descrivere la situazione di mia madre come era realmente.
Mia madre è morta il 2 marzo, dopo aver potuto usufruire, nell’arco di poco meno di un mese dalle dimissioni dall’Auxilium vitae, di due sole altre sedute di fisioterapia presso la struttura di San Giuliano Terme. Non so se con un periodo più lungo di fisioterapia effettuata quotidianamente in una struttura migliore rispetto all’Auxilium vitae mia madre sarebbe potuta migliorare sensibilmente oppure se sarebbe comunque morta, il 2 marzo, per i suoi problemi cardiaci. Resterò nel dubbio. Non ho dubbi invece nel ritenere che l’Auxilium vitae di Volterra non è quell’eccellenza che credevo fosse.
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