Carcinoma papillare della tiroide

Carcinoma papillare della tiroide

A cura di: Dott. Maurizio De Palma, Direttore Dipartimento Chirurgico Generale e Specialistico Ospedale Cardarelli di Napoli

GENERALITÀ. La tiroide è una ghiandola endocrina (cioè un organo che produce ormoni, sostanze che vengono riversate nel sangue e svolgono molteplici funzioni) posta nel collo appena sotto la cartilagine tiroidea della laringe (il cosiddetto pomo d'Adamo). I tumori che interessano la tiroide possono essere di tre tipi: carcinomi differenziati (papillari e follicolari), midollari e anaplastici. Il carcinoma papillare, detto anche papillifero, è un tumore differenziato della tiroide (come il follicolare) e rappresenta circa l'80% delle neoplasie tiroidee, è il più frequente ed anche quello con prognosi migliore, soprattutto in assenza di metastasi al momento della diagnosi. Spesso più aggressivo nei pazienti anziani, colpisce in genere soggetti dai 30 ai 60 anni di età ma sono interessate anche fasce di età più giovane o più avanzata. Si tratta di un tipo di cancro che solitamente dà metastasi linfonodali con localizzazione limitata ai soli linfonodi del collo, motivo per cui, non di rado (30% dei casi), sono presenti metastasi linfonodali già al momento della diagnosi; solo in seguito metastatizza fuori dal collo. Non è indicata alcuna forma di screening per il carcinoma papillare, poichè questi sono tumori rari, che crescono, di norma, molto lentamente e spesso non danno problemi per lunghi anni o per tutta la vita. ll carcinoma papillifero è poco invasivo ed ha, inoltre, un tasso di recidiva piuttosto basso. Un terzo delle recidive si verifica quasi sempre entro 10 anni dall'intervento, in genere solo a livello locale (linfonodi del collo).

CAUSE. Come per tutti i tumori tiroidei, la causa del carcinoma papillare è sconosciuta. Si possono però riscontrare dei fattori di rischio, che sono: esposizione a radiazioni ionizzanti; apporto insufficiente di iodio nella dieta; sesso femminile (le donne sono più colpite degli uomini nella proporzione di 4:1); precedenti famigliari di gozzo o neoplasia tiroidea; precedenti personali di gozzo o di noduli benigni; l'età (> 45 anni). La mutazione del gene BRAF ed il riarrangiamento RET/PTC, costituiscono inoltre le alterazioni geniche che si associano con maggiore frequenza al carcinoma papillare tiroideo.

SINTOMI. Più comunemente si individua un nodulo asintomatico isolato all'interno della ghiandola. La sintomatologia è solitamente legata ad uno stadio avanzato del tumore ed è caratterizzata da difficoltà a parlare (disfonia), raucedine o voce diversa dal solito, mal di gola o male al collo, gonfiore dei linfonodi del collo, difficoltà a deglutire (disfagia) o a respirare (dispnea). Raramente metastasi linfonodali, polmonari od ossee, causano la sintomatologia d'esordio.

DIAGNOSI. La diagnosi inizia con uno scrupoloso esame fisico durante il quale lo specialista visita la regione in corrispondenza di tiroide e linfonodi, alla ricerca di eventuali zone gonfie (noduli) o di gonfiori anomali. All'esame obiettivo segue l'effettuazione di esami del sangue specifici (ormoni tiroidei, TSH, tireoglobulina, calcitonina), anche se, molto spesso, soggetti con carcinoma papillare presentano valori assolutamente normali. Si esegue poi l'ecografia tiroidea, per acquisire soprattutto informazioni sulle dimensioni e sulle principali caratteristiche del nodulo tiroideo. La diagnosi certa è ottenuta sulla base di un esame citologico (biopsia) del nodulo sospetto mediante aspirazione con ago sottile. In alcuni casi può essere utile eseguire ulteriori esami quali TC o RMN del collo, torace e mediastino.

TERAPIA. Per la cura del carcinoma tiroideo, la chirurgia è il trattamento di scelta e in genere si preferisce asportare tutta la ghiandola. Il trattamento dei tumori < 1,0 cm. di diametro, con unico nodulo localizzato in un lobo e con lobo controlaterale completamente indenne, può essere di lobectomia con istmectomia (cioè la rimozione del solo lato coinvolto e del tratto di tiroide che unisce i due lobi). Tale intervento può essere risolutivo ma impone un costante follow-up. Dopo l'intervento viene somministrato ormone tiroideo a dosi che mantengano l'ormone stimolante la tiroide (TSH) a valori bassi, con lo scopo di ridurre il rischio di recidiva e per evitare la crescita di qualsiasi residuo microscopico di tessuto tiroideo. Nel caso di carcinomi con diametro > 4 cm., o per quelli diffusamente infiltranti, la terapia consiste nell'asportazione di tutta la tiroide (tiroidectomia totale). In base al livello di rischio del paziente, dopo l'intervento chirurgico, può essere somministrato dello iodio radioattivo (radioiodio) a dosi ablative (terapia radiometabolica) al fine di eliminare l'eventuale tessuto tiroideo residuo e/o le eventuali metastasi. La chemioterapia non trova indicazione in questi tumori.