Dettagli Recensione

 
Ospedale San Camillo di Roma
Voto medio 
 
2.8
Competenza 
 
4.0
Assistenza 
 
3.0
Pulizia 
 
3.0
Servizi 
 
1.0

PAZIENTE CRONICO

Quello diretto dal Prof. Marini è il classico reparto che chiunque sia scampato al pericolo di una patologia chirurgica trattata in regime d'urgenza, non può non ricordare con estrema gratitudine: ciò in quanto lo stato di emergenza lascia spazio solo alla soluzione del problema cruciale ed estemporaneo, per cui è ovvio che qualsiasi altra priorità svanisca. Il problema sorge quando da una patologia chirurgica affrontata in regime d'urgenza, scaturisce una condizione di cronicità ed è proprio allora che tutte le vulnerabilità del sistema affiorano, svelando le molteplici criticità che caratterizzano il reparto e che rendono miserrimi gli standard dei servizi forniti al paziente. Comincio col dire che l'equipe medica si compone di personalità di altissimo profilo, sia per ciò che concerne l'aspetto professionale, sia in termini di empatia e umanità, ma ciò che a me appare è che non si tratta di una squadra, ma di un insieme di personalità singole e a sé stanti. Io sono approdata in reparto per la prima volta alla fine di Agosto del 2013, per quello che avevo creduto potesse essere un banalissimo ascesso perianale e che a breve si è rivelato l'inizio di un incubo, durato tre anni al solo San Camillo, e che di fatto non finirà. L'impatto col primo chirurgo in sala non era stato dei migliori, il Dott. Ennio Adami non brilla per la sua capacità di comunicare con i pazienti, ma è certamente una delle eccellenze di cui si avvale il reparto ed è stato grazie a lui, che ha intuito una gravità maggiore rispetto alle apparenze, che seppur con non poche difficoltà, sono stata dimessa dopo tre settimane in condizioni discrete, supportata dal mirabile operato del Dott. Renato Mancini, che sia durante il ricovero che nei due mesi successivi mi ha trattata con la VAC. Risolta la fase emergenziale, una RMN aveva evidenziato una patologia chirurgica proctologica, una fistola biforcuta complessa e anomala che avrebbe implicato una serie di interventi chirurgici, con tutta una serie di conseguenze, non solo strettamente mediche. Vennero fatte alcune (poche) investigazioni per determinare una causa alla quale si potesse imputare la mia condizione, ma non avendo ottenuto alcun riscontro, ebbe inizio il "toto- diagnosi" delle opinioni, quello in cui ognuno non ha lesinato la propria opinione, per nulla avvalorata da studi clinici in grado di accreditarla e, soprattutto, non richiesta da nessuno. Io sono una paziente bariatrica, essendomi sottoposta nel 2006 a DBP presso un altro nosocomio per mia libera scelta, per cui la mia condizione di "paziente bariatrica" è diventata l'ancora di salvezza per le diagnosi e le sentenze più disparate. Già, perché il primo vero problema che personalmente ho riscontrato è la presunta competenza in chirurgia bariatrica, quella che condita di un'insopportabile arroganza, spinge molti chirurghi che in vita loro un intervento di bariatrica non lo hanno fatto mai, a proiettare le loro diagnosi mancate sul paziente, creando un vero e proprio pregiudizio: i pazienti bariatrici non piacciono, soprattutto quelli operati da altri e con procedure che non siano l'anacronistico bendaggio gastrico, l'unico intervento di chirurgia bariatrica praticato, e solo sporadicamente, in reparto. Nei confronti del paziente bariatrico in generale regna un vero e proprio pregiudizio che non di rado sfocia nella mancanza di rispetto: non lo si ascolta, non gli si crede e non lo si considera alla stregua degli altri, senza contare che ogni qual volta un chirurgo non è in grado di fare una diagnosi, proiettare i propri limiti sul paziente bariatrico è la regola, per cui qualsiasi cosa ti venga, la causa è l'intervento al quale sei stato sottoposto, malgrado la statistica dimostri che non è assolutamente vero. Poi c'è il problema della chirurgia proctologica, quella per la quale siamo stati in molti ad esultare per l'arrivo in reparto del Dott. Luciano Alessandroni, perché oltre ad essere un chirurgo straordinario al limite del taumaturgico, è anche persona straordinaria, amabile e dotata di tutte le qualità necessarie a curare pazienti affetti da patologie dolorose e deprimenti, con tutta una serie di interventi il cui esito è comunque incerto ma che sono, di fatto, l'unica via percorribile. Essere paziente di Luciano Alessandroni significa affrontare qualsiasi sofferenza e qualsiasi difficoltà con pazienza, fiducia e coraggio, non fosse altro per non deludere lui, che per i suoi pazienti si prodiga come nessun altro. Peccato che qui subentri un altro problema di notevole entità: la proctologica in questo reparto pare sia chirurgia di serie B e di serie C sono i pazienti cronici proctologici. Un paziente proctologico deve essere sottoposto a interventi multipli a scadenze prefissate, la programmazione sarebbe fondamentale e non solo per l'operatore, in quanto l'esposizione continua, il dolore cronico e tutto ciò che accompagna patologie che non si risolvono con un unico intervento, è avvilente e deprimente. I pazienti cronici si lamentano, spesso manifestano la loro insofferenza, dal reparto vengono considerati una rottura, un fastidio di cui liberarsi e nei confronti dei quali non c'è il minimo rispetto. A dimostrazione di ciò le medicazioni, quando non vengono accollate al Dott. Alessandroni e dirottate al Pad. Busi (dove visita 30 persone per volta), vengono organizzate al Pad. Baccelli, dove il chirurgo arriva se, quando e come gli pare e gli appuntamenti non hanno alcun valore e dove una persona operata al retto due giorni prima e che quindi meno sta seduto e meglio è, è costretto ad attendere anche 4 ore prima che qualcuno si degni di cominciare a lavorare, malgrado il reparto sia caratterizzato dalla presenza di un numero di chirurghi che non si conta in nessun altro posto del pianeta. Per medicare i pazienti chirurgici proctologici arriva qualcuno quando e come gli va, in un contesto "arricchito" dalla presenza di infermiere che incarnano il becerume e la maleducazione, dove si lasciano le porte aperte mentre i pazienti sono senza mutande sui lettini da visita e dove i colleghi entrano senza bussare per comunicare al collega impegnato con un paziente, i propri affari personali. Il regime in cui vengono curati i pazienti cronici è questo e definirlo semplicemente scandaloso è un eufemismo. A ciò si aggiunge la sporcizia delle sale in cui vengono medicati i pazienti, la presenza di infermieri affetti da influenza e con febbre che assistono i pazienti operati, l'assoluta mancanza di controllo dei flussi dall'esterno per cui nell'orario di visita che al capezzale di un malato ci siano dieci persone incuranti degli altri pazienti appena operati è la regola, un'alta incidenza di infezioni iatrogene e l'atteggiamento scocciato dell'80% del personale medico e paramedico. Il rispetto della privacy è fantascienza, i medici fanno a gara per schivare i colloqui con i parenti dei malati e gli infermieri si dividono tra coloro che si prodigano fino allo sfinimento all'insegna dell'optimum della professionalità, e coloro che come unico talento hanno quello di mandare qualcun'altro al posto loro quando un paziente chiama, preferibilmente gli allievi.
Ho frequentato per tre anni consecutivi il reparto, gli ambulatori, il personale: più passa il tempo e più un paziente cronico diventa un fastidio, una rottura e l'atteggiamento generale è inequivocabile. Avendo superato la fase della riconoscenza del primo ricovero e non essendo arrivata oltre il mezzo secolo per permettere a chicchessia di rapportarsi nei miei confronti come fossi un mero numero, ho deciso di rinunciare alle cure, malgrado sia assolutamente convinta che nessun chirurgo potrebbe mai curarmi come il Dott. Luciano Alessandroni, il quale, però, è assoggettato all'andazzo generale e non ha alcuna autonomia di gestione della sua chirurgia. Scrivo tutto ciò oggi, 27/07/2017, dopo aver trascorso gli ultimi tre giorni a trattare l'ennesimo ascesso perianale con impacchi di Ittiolo e ammollo in acqua salata bollente, assumendo Ciproxin 500 x 3 come di consueto: purtroppo la chirurgia non sempre è risolutiva, i chirurghi non sono maghi e non ci si possono aspettare miracoli. Tuttavia sono persone ed esercenti di servizi di pubblica necessità ai sensi del Codice Civile, che oltre ad avere i vincoli etici ippocratici ai quali si appellano quando viene loro comodo, hanno obblighi contrattuali ed extracontrattuali a fronte di stipendi pagati dalla collettività, anche da quei pazienti noiosi e così poco entusiasmanti che sono proctologici cronici e bariatrici, cosa di cui si scordano troppo spesso. Non avendo alcuna voglia di subire una volta di più atteggiamenti che sarei stata costretta a denunciare, ho preferito tenermi alla larga dal reparto e l'ho fatto in nome del rispetto, della stima e della riconoscenza nei confronti di coloro che si sono presi cura di me in modo impeccabile e che meriterebbero di lavorare in condizioni migliori: un grazie eterno al Dott. Adami, al Dott. Mancini, alla Dott.ssa Staltari, alla Dott.ssa Casale.

Patologia trattata
Fistola biforcuta complessa.

Commenti

 
 
Per Ordine