Dettagli Recensione

 
Ospedale San Camillo di Roma
Voto medio 
 
2.3
Competenza 
 
2.0
Assistenza 
 
2.0
Pulizia 
 
4.0
Servizi 
 
1.0

Approssimativi

Mio padre ha trascorso tre anni combattendo contro un adenocarcinoma IV stadio.
Gli fecero solo una broncoscopia dalla quale non riuscirono a estrarre tessuto fresco per una corretta analisi genetica e immunoistochimica. Non fecero nemmeno l'analisi mutazionale sulle poche cellule che riuscirono a repertare.
All'inizio iscrizione in un protocollo sperimentale, con classica chemioterapia a base di Gemcitabina + possibile Vandetanib. Sei cicli di chemioterapia che hanno dimezzato le dimensioni volumetriche della neoplasia. Da notare che il Vandetanib poi venne "abbandonato" dall'Astra Zeneca perché non efficace per l'NSCLC.
A mie domande esplicite su tale abbandono da parte della casa farmaceutica ,mi venne risposto: "ma lei per caso lavora per l'Astra Zeneca?" (della serie, ma che gli frega a lei...)
Mio padre comunque ricevette il placebo.
Problemi continui con le macchine TAC che si rompono sovente con la necessità di rinviare gli esami.
Successivamente due cicli con vinorelbina non sopportati.
Poi, su mia richiesta, venne fatta l'analisi per l'EGFR che rivelo l'adenocarcinoma come wild-type.
Proposero allora di iniziare la terapia con Tarceva (che viene usato eminentemente laddove c'è mutazione EGFR). Decisione discutibile.
Ed infatti ad ogni controllo (circa ogni due mesi) si rilevavano modesti incrementi volumetrici, tuttavia inferiori al 20% q e quindi la malattia per i medici era controllata, non c'era progressione (altra cosa discutibile).
Finita la terapia con il Tarceva, dopo circa 1 anno venne iniziata una terapia sperimentale con Afatinib ad uso compassionevole. L'afatinib è un inibitore irreversibile delle tirosin-kinasi, in sostanza funziona in maniera simile al Tarceva. Ma se il tarceva non ha funzionato nell'ultimo periodo, perché iniziare una terapia simile?
Evidentemente non sapevano più che fare.
Ed in effetti fu da allora che le condizioni ECOG di mio padre scaderono. L'afatinib non fece effetto alcuno.
La cosa scandalosa però fu l'errata posologia degli oppioidi che diedero a mio padre. Partirono subito con la dose massima (fentanyl) e mio padre ebbe ripetute crisi d'astinenza. Pericolose.
Successivamente (e siamo a tre anni dalla diagnosi) venne iscritto in un protocollo sperimentale a base del nuovo farmaco E7080 (lenvatinib). Purtroppo i medici non controllarono le condizioni cardiocircolatorie di mio padre, e poco dopo l'assunzione del farmaco (circa un mese) mio padre morì per infarto miocardico. All'autopsia aveva il cuore che pesava circa 630 grammi, fibrotico, segno di cardiopatia congestizia severa (uno dei criteri di esclusione dal protocollo sperimentale).
Fra l'altro firmò il consenso informato, ma non gliene diedero mai una copia.

Patologia trattata
Adenocarcinoma IV stadio wild-type.

Commenti

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Inviato da Andrea
17 Marzo, 2013
Con molto rispetto, vorrei far notare che una sopravvivenza di tre anni per un adenocarcinoma al IV stadio è un risultato difficilmente ottenibile in assenza di cure appropriate. Si tratta purtroppo di una malattia incurabile.
Difficile poi, se non impossibile per chi non sia medico oncologo, entrare nel merito dell'uso di farmaci biologici di nuova generazione.
Prendo atto delle notazioni sugli oppiacei e sull'esito di infarto miocardico, mi dispiace.
Ho in cura un parente caro per una situazione analoga. Attualmente l'impressione è di grande professionalità, ci vuole poi anche fortuna.
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Inviato da Alessandro
05 Aprile, 2013
Caro Andrea, se mio padre è sopravvissuto tre anni certo non è solo per merito della Gemcitabina o dell'Erlotinib. La chemio ammazza, non ha mai curato nessuno. Da biologo posso dirti che se un medico non rispetta dei gold standard, oppure non è scrupoloso nel fare degli accertamenti, o se non segue le best practices, ci metto veramente poco ad accorgermene. Senza vantarmi, ma parlando con un medico oncologo mi è parso che ci capissi più io a livello cellulare. Il che è tutto dire.
Mio padre in sostanza è stato ammazzato per buona parte dal nuovo farmaco della Eisai (e7080 o lenvatinib). All'autopsia gli è stato riscontrato un cuore di volume doppio rispetto al normale. Indice di una cardiopatia congestizia pregressa, un fattore di esclusione per l'assunzione dell'E7080. Perché allora non gli è stato fatto fare un accertamento prima ed eventualmente non fargli firmare il consenso informato? Perché la dottoressa che lo aveva in cura a mia domanda specifica sull'effetto delle metastasi surrenali, non ha detto nulla? Mio padre è morto anche per una marcata ipovolemia determinata da iposurrenalismo. Era in pratica diventato un Addisoniano e nessuno gli ha mai detto nulla. Ed infatti l'ultima crisi a seguito dello stress di andare al San Camillo si è rilevata fatale.
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Inviato da Utente
27 Giugno, 2013
Commento fuori luogo. Un biologo che ne sa più di uno specialista????
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Inviato da Alessandro
11 Settembre, 2013
Dipende dalla preparazione personale. Un biologo ne può sapere anche di più di uno specialista a livello biochimico e cellulare. Semmai il tuo commento è fuori luogo, tipico di chi deve proteggere la casta dei medici...
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Inviato da Alessandro
11 Settembre, 2013
E tu caro Utente che nemmeno hai il coraggio di firmarti, cosa ne sai tu di biologia? O di Oncologia? Scommetto nulla. E allora ecco di chi è il commento fuori luogo...
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