Dettagli Recensione

 
Ospedale Policlinico Tor Vergata di Roma
Voto medio 
 
2.0
Competenza 
 
2.0
Assistenza 
 
2.0
Pulizia 
 
2.0
Servizi 
 
2.0

Umanità assente

Mia mamma, Civolani Annamaria, è arrivata al Policlinico Universitario Tor Vergata - Pronto Soccorso - la mattina del 29/12/2022 accompagnata dalla figlia Giovanna Speciale.
Mamma ha tossito tutta la notte e al mattino non riesce a camminare.
Il foglio di ricovero è del cardiologo, dott. Iulianella che, dopo visita cardiologica ed elettrocardiogramma sospetta sindrome nefrosica per edema diffuso negli arti inferiori e ulcere sanguinanti alle gambe.
Mi è permesso di rimanere in sala d’attesa perché mamma è disabile al 100% (articolo 3, co. 3 della Legge 104/92) ed è completamente sorda. Con codice azzurro, mamma rimane per circa 8 ore in attesa.
Faccio presente più volte che sanguina dalle ulcere, che non sono state medicate e che comincia a respirare a fatica.
Quando finalmente entriamo in visita la dott.ssa Ferrari esterna il suo disappunto in quanto è stato permesso che una ottantaquattrenne rimanesse in attesa tante ore senza assistenza. Dispone che le siano fasciate le gambe e osservando anche il rush cutaneo e l’edema diffusi, decide di trattenerla. Anche le analisi del sangue attestano una condizione di salute preoccupante.
Mamma ha una leucemia linfatica cronica da venti anni. Ha subìto un intervento per tumore al colon nel Dicembre del 2002. Recentemente il neurologo che l’ha in cura, le ha diagnosticato un’epilessia e per controllare allucinazioni anche uditive e comportamenti aggressivi, le ha prescritto oltre l’antiepilettico anche Talofen.
Quella sera vengo allontanata e lascio mia mamma cercando di rassicurarla: non è abituata a stare in un ambiente che non conosce e non sta mai da sola.
Lascio con lei un contenitore con tutte le sue medicine, un altro con la protesi dentaria che le hanno fatto togliere e un piccolo trolley blu.
Il giorno seguente, il 30/12/2022, cerchiamo di spiegare le condizioni di mia mamma, la sua disabilità largamente certificata e aggravata da una sordità completa.
Facciamo notare che la componente allucinatoria potrebbe aggravarsi in un ambiente estraneo senza alcun volto familiare ma, comunque, non ci viene permesso l’ingresso, anche solo per un saluto, una parola di conforto. Niente.
Il medico di turno alle 18.00 ci dice che la tac ha riscontrato una polmonite e che le hanno somministrato ossigeno. Inizia quindi terapia cortisonica e antibiotica.
La sera mamma ci chiama al telefono piangendo disperata, ha paura, singhiozza, chiede la nostra presenza, il nostro aiuto. Arriva al telefono un infermiere al quale riesco a suggerire di somministrare il Talofen perchè senza non si calma e non riposa; mi garantisce che consulterà la cartella e nel caso, darà le gocce.
Il 31/12/2022, mi chiama un’infermiera e mi chiede di andare al Pronto Soccorso perchè non trovano il trolley di mamma e neanche il contenitore con la sua protesi dentaria. Cerco per tutto il pronto soccorso, anche nei bagni, senza fortuna.
La perdita della protesi dentaria provoca in mamma molto disagio: si sente umiliata, non toglie mai la protesi in pubblico neanche davanti a noi.
Mia mamma è provata e spaventata. Chiedo al medico di turno di darmi il permesso di assisterla spiegando chiaramente le sue condizioni, prende tempo, deve pensarci. In attesa, mia sorella chiede e ottiene, grazie all’intervento del Dott. Massimiliano Vitale dello staff della Direzione Sanitaria, il permesso di permanere con mia mamma. A quel punto anche il medico di turno mi accorda il permesso e predispone il braccialetto che mi darà modo di essere presente a fianco di mia mamma h24.
Mia mamma è visibilmente più tranquilla, riesce anche a mangiare qualche omogeneizzato che, a causa del furto del trolley, è l’unico alimento che può concedersi. Abbiamo fatto reclamo all’Ufficio Relazioni con il pubblico senza alcun riscontro. La mia permanenza al suo fianco, nonostante il braccialetto dovrebbe fungere da lasciapassare, in realtà è costantemente ostacolata dall’infermiera e a volte dal medico di turno. Il 05/01/2023 mia mamma sembra migliorare, ha meno tosse, riesce a stare senza ossigeno a intervalli programmati, ha 93 di saturazione. Non vede l’ora di tornare a casa.
Chiediamo incessantemente che venga spostata in reparto; soffre molto la posizione supina e constatiamo che persone ricoverate dopo di lei, vengono spostate in reparto. Anche loro affette da polmonite, ma più giovani. Il 06/01/2023 dorme continuamente, rifiuta di mangiare. La tac riscontra liquido nei polmoni. Insistiamo che venga trasferita ma, al solito, rispondono che non c’è posto.
Verso sera, è sveglia, vigile ci prendiamo in giro: è il giorno del suo anniversario di matrimonio. L’infermiera del turno serale, nella sala che precede la sala rossa, mi invita più volte ad andare; faccio notare il braccialetto, dico che è molto sveglia avendo dormito tutto il giorno, che le farò compagnia nel rispetto degli altri. L’ultima volta il tono è più perentorio: devo uscire. Forse sono vinta dalla stanchezza, insisto con poca convinzione. Sono avvilita le faccio vedere che è sorda che comunichiamo con gesti familiari che ci siamo inventati oppure scrivendoci. Le prometto che somministrata la terapia con talofen mi allontanerò. Prendo tempo, spero si muova a compassione, in realtà dimentico che ho DIRITTO a stare con mia mamma h24.Mi esorta a salutarla, mi trattengo nei saluti il più possibile. Mia mamma mi chiede: “che faccio io qui da sola?”, le rispondo, prova a riposare e l’attimo dopo, raccomandandomi all’infermiera, sono fuori.
Qualche ora dopo rivedrò mia mamma nella sala rossa, morta. E’ la notte del 06/01/2023.
Le ore in cui sono lontana, chiedo incessantemente al telefono, a signore ricoverate nella medesima sala, per sapere come sta.
Subito dopo il mio allontanamento mia mamma si agita e si toglie più volte la mascherina per l’ossigeno, dopo vari tentativi, l’infermiera, la stessa che mi ha costretta fuori, ritiene sia il caso di legarle le mani. Mamma tenta di bere, ma, con le mani legate non riesce a prendere la bottiglia. Si lamenta. Le pazienti spiegano che in mia presenza era sempre tranquilla, esortano a chiamarmi, ma niente.
Fanno forse un altro emogas, lo aumentano da 40 a 60? Le pazienti non ne sono sicure. Non provano a comunicare con lei, pur essendo a conoscenza della sua sordità; le pazienti presenti nella sala suggeriscono di chiamarmi, ma, ancora, invano. Ad un certo punto l’infermiera chiama la dottoressa di turno, che dà ordine di spostarla in sala rossa per monitorarla e alle pazienti preoccupate dice che non ci sarà bisogno di chiamarmi, che adesso ci pensano loro. In realtà, purtroppo, a distanza di alcune ore, circa tre, la dott.ssa stessa mi chiamerà per dirmi che mia mamma sta morendo.
Mia sorella sarà la prima ad arrivare, è disperata chiede di entrare per salutarla un’ultima volta, ma, una serie di controlli ne rallentano l’ingresso, e quando finalmente riesce ad entrare mia mamma è già spirata.
Noi, cinque figli, siamo in preda ad un dolore immenso e inaspettato, chiediamo spiegazioni, chiarimenti, ma i nostri interlocutori si dimostrano ostili, l’infermiera nega di averle legato le mani, la dottoressa di essere stata chiamata in sala dall’infermiera, una gran confusione nelle risposte che invece noi pretendiamo chiare. Mia sorella e la dott.ssa discutono, i toni sono insolitamente forti, mentre mia mamma giace inerme.
In questa occasione la dottoressa dichiara, che, se mia sorella, che nel frattempo si è allontanata, non torna a porgere le scuse, darà disposizione di un’autopsia contro la nostra volontà. Dissenso da noi esplicitamente dichiarato.Alla fine, si ritrova il senno e per scongiurare un’autopsia, cerchiamo nuovamente un dialogo. L’infermiera è sparita, la dott.ssa ritratta la sua prima versione e ammette di essere stata chiamata dall’infermiera e di aver predisposto che mia mamma fosse portata in sala rossa. Poi, afferma, lentamente si è spenta.
Poco dopo, chiama la camera mortuaria per far portare via mia mamma.
Tutto avviene molto velocemente ed in un clima disumano, senza alcun rispetto per il nostro dolore, mia mamma viene portata via e noi, ancora una volta, l’ultima, siamo “invitati” ad uscire.
Ma, se davvero mia mamma si fosse spenta lentamente, come ci dicono, non avrebbe potuto farlo guardando il viso di sua figlia? stringendole le mani, magari riuscendo a confessare le ultime paure?
Perché, ormai in sala rossa, quando tutto è sembrato precipitare, non chiamare una figlia, scegliere per pietà umana, di concedere l’ultimo conforto?
Eppure: 11.Diritto a evitare le sofferenze e il dolore non necessari: Ogni individuo ha il diritto di evitare quanta più sofferenza possibile, in ogni fase della sua malattia.

Patologia trattata
Polmonite.

Commenti

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Per Ordine 
 
Inviato da Michela
02 Dicembre, 2023
Avresti dovuto far intervenire le forze dell'ordine, che sono intervenute altre volte risolvendo i problemi dei pazienti. Denunciate quando accadono queste cose.. Condoglianze di cuore.
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