Chirurgia Generale Ospedale Padova

 
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Mancanza di umanità

Il mio giovane fratello di 35 anni è stato operato due volte a Padova dal prof. Bardini e la sua equipe, la prima nel 2015, la seconda nel 2016. La prima volta il prof. Bardini gli aveva detto che l'intervento era complicato ma si sarebbe salvato. Aveva un tumore all'esofago, nel cardias, più o meno all'imboccatura dello stomaco. Gli aveva detto che lo avrebbe tolto e con un allungamento di un tratto dell'intestino avrebbe ricreato il tratto di esofago e tutto avrebbe funzionato più o meno come prima. Lo operano e quando i chirurghi escono dalla sala operatoria, vanno dai miei e dicono loro in modo freddo e diretto che la situazione è gravissima, che non hanno potuto togliere il tumore dall'esofago perché il tumore si era diffuso in modo massiccio nel peritoneo (la sacca che avvolge gli organi addominali) e non asportabile; quindi gli hanno solo messo un tubicino nell'esofago in corrispondenza del tumore per far passare il cibo. Dicono loro che probabilmente non sopravviverà, che proveranno a fargli chemio in modo massiccio e che potrà mangiare solo cibi liquidi, o al massimo cremosi, perché quel tubo bloccherebbe i cibi solidi. I miei, le mie sorelle, la compagna di mio fratello, hanno un mancamento scioccati da notizie del genere date così a bruciapelo. Io non ero in ospedale quella mattina, perché l'intervento previsto era dato di praticamente di sicuro successo. Mia sorella mi chiama e mi dà la notizia. Corro a Padova e trovo i miei genitori in uno stato di profonda disperazione seduti in sala d'aspetto. Mi dicono che con Bardini non si può parlare, con i suoi "aiutanti" sì, ma bisogna aspettare che passino e provare a fermarli. Aspettiamo e ne arriva uno, non ricordo il nome, ma la faccia sì. Ha i capelli rossi come mio fratello e stupidamente per questo motivo lo sento vicino e spero che ci aiuterà. Gli chiedo se ha visto altri casi simili e aspettative di vita, mi risponde che ne ha visti, che alcuni durano sei mesi, altri pochi anni ma che si può sempre sperare nel miracolo. É di fretta e se ne va velocemente. Mio fratello viene messo in una camera con altri tre pazienti, nessuno grave come lui. I miei, le mie sorelle e la compagna sono talmente stanchi e provati che li mando tutti a casa e decido di restare lì la notte. Mio fratello l'ha definita in seguito la notte più brutta della sua vita. Non riesce a dormire, ha una cannetta nel naso, che gli scende fino allo stomaco, che gli dà molto fastidio. Continua a sputare saliva e io lo asciugo con delle garzine. Cerco un medico e gli chiedo se gli possono togliere quella cannetta perché gli fa male, dà fastidio e sembra provocargli questi rigurgiti. Mi risponde che valuteranno all'indomani. Finisco le garze e ne chiedo alle infermiere di turno. Me ne danno poche, un pacchettino, che finisco subito. Ne chiedo ancora e ricevo una rispostaccia dall'infermiera che mi sgrida perché ne consumiamo troppe. Mio fratello continua a soffrire e a sputare saliva. Ad un certo punto vomita un liquido scuro, rosso. Cerco di contenere il liquido col lenzuolo e suono il campanello per chiedere aiuto. Non arriva nessuno. Lo risuono allora. Arrivano le infermiere e mi sgridano intimandomi di non suonare due volte. Esco dalla stanza mentre loro puliscono. Mi appoggio al muro e piango un po', lo stress, la tristezza, la disperazione sono enormi. Esce un'infermiera, mi si piazza davanti molto vicina al viso e mi dice in modo scortese che non posso e non devo piangere. Mi asciugo le lacrime, rientro e lui continua a sputare saliva e avere dolore. La mattina finalmente arriva, arriva mia mamma, la informo degli spiacevoli episodi con queste infermiere. Mia mamma ha detto comunque qualcosa all'infermiera più "aggressiva" e questa si è arrabbiata di fronte anche a mio fratello. Esco dall'ospedale, ancora segni di sangue sulle mie braccia, salgo in auto e finalmente piango tutta la mia disperazione. In seguito ho provato più volte a prendere appuntamento col prof. Bardini per capire meglio la situazione di mio fratello, ma mi è stato rifiutato senza spiegazioni. Mio fratello ha fatto vari cicli di chemio, l'alimentazione liquido - cremosa è stata un incubo, non poteva più mangiare pasta, insalata, pizza ecc... Ma lui ha sopportato tutto senza mai lamentarsi e con enorme coraggio ed impegno. Otto mesi dopo Bardini ha deciso di riprovare l'intervento, sempre a Padova. Un'ora prima dell'ora fissata per l'intervento a mio fratello viene detto che a causa di mancanza di posto in rianimazione (dove dovrebbe essere mandato se l'intervento riesce) non si può fare l'intervento e lo rimandano a casa. Quindi lui si è preparato all'intervento per niente! (purga e tutto il resto). Rimandano l'intervento proprio al giorno del suo compleanno. L'intervento non riesce. Non tolgono tumore, non tolgono il tubicino, anzi, siccome questo è sceso gliene mettono un altro. Da allora mio fratello è stato sempre peggio. I due tubi in esofago gli facevano sempre male e spesso i liquidi che ingeriva si bloccavano senza riuscire a scendere nell'esofago. Bardini non si è più visto, né fatto sentire, neppure quando, quattro mesi dopo, mio fratello se n'è andato da questa vita, tra atroci sofferenze, su un letto di ospedale. Stavolta a Castelfranco. Questa è la storia del mio dolore. Spero che medici ed infermieri capiscano che serve umanità ed empatia verso chi soffre mali così terribili e devastanti, e verso i loro cari.

Patologia trattata
Adenocarcinoma al cardias diffuso al oeritobei.
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