Casa di Cura Divina Provvidenza di Bisceglie

 
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Recensioni dei pazienti

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Non la consiglio

La mia esperienza mi porta a sconsigliare fortemente la struttura per diversi motivi. In primo luogo, il personale è a mio parere dotato di scarse competenze tecniche, assolutamente necessarie per il buon esito dei trattamenti. In secondo luogo, lo stesso personale pecca di doti relazionali, indispensabili per ogni lavoro a diretto contatto con della gente, figurarsi in un istituto di cura, dove il malato dovrebbe essere sotto costante monitoraggio. In terzo luogo, vorrei sottolineare la mancanza di motivazione dei dipendenti, i quali fanno pesare ogni azione svolta durante il loro lavoro ai malati e alle loro famiglie. Infine, specifico il generale rifiuto ad assumersi le proprie responsabilità. Se chiamate qualcuno per fare o chiedere qualcosa, molto probabilmente vi sentirete dire che non è compito loro fare o dire quella cosa, senza peraltro indicare a chi rivolgersi.
Questa è la "Divina Provvidenza" di Bisceglie.

Patologia trattata
Frattura femore.
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LA NOSTRA ESPERIENZA

Mia nonna è stata ricoverata presso l'U.O. di Medicina Fisica e Riabilitazione per i 40 giorni che hanno seguito l'intervento di frattura di femore (16 agosto 2018).
Inutile commentare i luoghi ed i servizi forniti (cucina), perché sappiamo in che condizioni verte la nostra sanità.
Quello che desidero tutti sappiano, perché anche mia nonna l'avrebbe voluto, è l'inadeguatezza di tutto il personale presente, di ogni ordine e grado, che personalmente abbiamo riscontrato nella nostra esperienza. Partendo dagli OSS, che sembrano dimenticare di trattare persone, per di più malate e molte volte anziane. Operatori che non si sono mai mostrati compassionevoli ed empatici. Risposte sgarbate, assoluta mancanza di delicatezza, cura della persona malata pari a zero, solo saccenza ed arroganza.
Riporto alcuni episodi.
Mia nonna aveva bisogno di aiuto nei trasferimenti: una mattina l’abbiamo trovata con un lembo di pelle completamente saltato sull’avambraccio sinistro perché, nella presa “maldestra”, per attenerci ai loro racconti, un operatore l’aveva graffiata con l’orologio che portava sempre al braccio. In quell’occasione, noi parenti non avevamo riferito nulla al medico, perché un incidente può capitare, inoltre credevamo che questo avrebbe avuto ripercussioni sul trattamento riservato alla nonna, soprattutto perché alcuni giorni dopo il nostro arrivo, un’altra paziente ci aveva detto testuali parole: “Qui devi dare da mangiare se vuoi andare avanti”. A posteriori, le cose avrebbero dovuto prendere una piega diversa già allora.
Racconto anche di quella volta in cui la calza elastica antitrombo, fondamentale nei pazienti operati per garantire il corretto flusso sanguigno nel percorso di risalita dalle gambe verso il cuore, è stata messa sulla gamba sana, piuttosto che su quella fratturata.
Oppure, del 27 Settembre, quando mia nonna è stata portata in sala raggi per il primo controllo dopo l’operazione, il medico radiologo riferisce agli operatori che era necessario cambiare la signora perché completamente bagnata di urina (portava il pannolone perché non ce la faceva ad alzarsi e andare in bagno da sola). Alla povera nonna è stato cambiato il panno, ma non i pantaloni, perché l’operatrice non riteneva fosse tanto bagnata da rendere necessario questo lavoro.
E se difendere la dignità del vostro caro, lesa per l’ennesima volta dopo quest’ultima vicenda, porta ad un confronto diretto, la possibilità è, come nel nostro caso, di beccarsi una DENUNCIA PER AGGRESSIONE VERBALE, con tanto di operatore portato via dal posto di lavoro dall’ambulanza e assente per malattia per i successivi 10 giorni. Questo è stato l’unico momento in cui ho sentito TEMPESTIVAMENTE l’arrivo di un mezzo di soccorso.
In questo posto non è possibile essere pazienti con elevato impegno assistenziale e nursing infermieristico continuo, perché l’unica risposta che possono dare è l’ironia, perché si diventa parenti seccanti, che “montano un casino per nulla”. Noi, addirittura, siamo stati proprio “fortunati” perché abbiamo trovato l’infermiere che, ogni volta che lo si chiamava, veniva in camera imitando la sirena dell’ambulanza con la voce.
MA CHE PROFESSIONALITÀ È QUESTA?
Tanto era cosa da niente, che mia nonna, nel 2018, è andata via per setticemia. È andata via dopo 6 giorni in cui NOI PARENTI abbiamo riportato il suo malessere a tutti, medici ed infermieri, sentendoci dire che quello era un semplice virus influenzale; è andata via dopo 6 giorni in cui NOI PARENTI abbiamo chiesto di attaccarle una flebo che la idratasse, visto che erano 4 giorni che non mangiava perché non ci riusciva. Il suo era un lento spegnersi e si rifletteva in una parola sempre più flebile ed in uno sguardo sempre più vacuo. E i signori medici continuavano a dire: “Non serve chiamare il pronto soccorso, ve la rimandano indietro, io ne ho esperienza”, oppure: “Chi ve l’ha detto che la nonna sta morendo? Le ho appena rimesso il catetere, entrate e guardate come si sta riprendendo”.
Tanto era vero che pochissimo tempo dopo mia nonna è andata via di lì IN COMA col 118. Aggiungo che finalmente il nostro medico era riuscito a mettersi in contatto coi colleghi del pronto soccorso, perché per tutta la mattina il numero non era corretto, non rispondeva, veniva messo a lungo in attesa… Incommentabile.
A posteriori, ci siamo pure sentiti dire che loro lo avevano sempre detto che la paziente “andava studiata”.
Ma, dico io, con che coraggio dire tutto questo dopo che noi stessi da giorni denunciavamo lo stato di malessere della nonna, dopo che per giorni noi abbiamo proposto di chiamare qualcuno dall’esterno, di farle delle flebo, di chiamare il 118. Dopo averci visto lì in ogni momento, anche fino oltre il limite orario consentito, visto che eravamo l’oggetto continuo dei richiami al rispetto dell’orario di visite? Oltre alla perdita, hanno voluto far ricadere su di noi la mancanza per non averla studiata. Saremmo andati in capo al mondo per salvarla, nel vero senso della parola, perché avevamo già da prima di questo evento dedicato a lei tutte le nostre energie. Ma perché per noi lei era tutto e lo facevamo con amore.
Lo stesso amore che deve essere parte fondamentale della cura e dell’assistenza sanitaria.
E ai parenti dei pazienti mi permetto di dire di non aver paura di scavalcare il “dottore” e di andare contro il suo parere, non aspettate, fate tutto quello che è nelle vostre possibilità per tutelare il vostro congiunto, telefonate voi stessi al 118, al massimo non sarà nulla, ma almeno non vivrete nel rimorso che quella chiamata avrebbe potuto tenere il vostro caro ancora un po’ con voi.

Patologia trattata
Frattura di femore.
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Riabilitazione cardiorespiratoria

ESPERIENZA VERAMENTE NEGATIVA. MAGARI SI SUPERA L'INTERVENTO A CUORE APERTO PER MANO DI UN CARDIOCHIRURGO ECCELLENTE E POI SI RISCHIA DI CONTRARRE SEPSI /SETTICEMIA PER INCURIA, SUPERFICIALITà E NEGLIGENZA DEI MEDICI E DEGLI INFERMIERI.
DUE CATEGORIE DI PERSONE CHE DOVREBBERO PROVARE INNANZITUTTO COSA SI PROVA AD ESSERE PAZIENTI.

Patologia trattata
Aneurisma della radice aortica e plastica della valvola.
Punti deboli
Personale medico e infermieristico assente; i cardiologi assegnati alla struttura si affacciavano ogni 15 giorni e giravano per i corridoi anzichè tra i pazienti (tranne uno).
Scarsità di materiali che provvedevamo a fornire personalmente alla struttura sprovvista di cerotti, creme e tanto altro.
Grande superficialità nelle medicazioni (fili di sutura drenaggio lasciati dentro la ferita); scarsa igiene con formazione di piaghe da micosi contratta in ospedale per negligenza e trascuratezza e "pochezza" del personale, gestita dai parenti che hanno provveduto a fornire anche l'assistenza notturna per alleviare le "fatiche" del personale "presente/assente".
Mangiare "immangiabile", fornito anche questo dalla famiglie dall'esterno, in quanto la struttura è del tutto sprovvista di un punto ristoro, bar o una semplice macchinetta che distribuisca anche solo acqua.
Ambiente tetro ed in totale stato di abbandono, dove girano indisturbate persone con problemi mentali, dove la colazione viene distribuita nei piatti di carta in mancanza di bicchieri, dove le fette biscottate vengono date a chi abbia più fame perchè non bastano per tutti.
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